Il consumo in quantità sempre maggiore di pane, pasta, pizza ed altri cibi contenenti glutine in tutto il mondo ha portato negli ultimi anni ad un incremento significativo della frequenza delle reazioni avverse al glutine con un range sempre più ampio di manifestazioni. Fra i fattori che hanno condizionato questo incremento di intolleranza al glutine un ruolo di primo piano va attribuito alla selezione, per ragioni più tecnologiche che nutrizionali, di varianti di grano con più alto contenuto in peptidi tossici, coinvolti nella composizione del glutine. Il glutine, una massa reticolare elastica e porosa, rappresenta la struttura principale dell’impasto per la panificazione, cui, in sostanza, garantisce l’elasticità. I tempi del processo di lievitazione del pane, che sono andati sempre più riducendosi in base alle regole applicate per l’attuale panificazione, hanno fatto sì che questo alimento sia diventato sempre più ricco di glutine. Oggi il glutine è uno dei più diffusi ed abbondanti componenti della dieta per molte popolazioni, in particolare per quelle di origine europea. In Europa il consumo medio di glutine è di 10-20 grammi al giorno con segmenti della popolazione che arrivano a consumarne fino a 50 o più grammi nell’intera giornata. Le proteine del glutine sono scarsamente digerite nello stomaco umano e giungono a contatto con la parete intestinale ancora intatte o in frammenti di grosse dimensioni in grado di scatenare reazioni avverse di varia natura. Se si pensa che 50 milligrammi di glutine sono già in grado di provocare danni nella mucosa intestinale dei soggetti affetti da celiachia, si capisce come il carico elevato di glutine che la maggior parte di noi ingerisce possa scatenare dolori addominali ed alterazioni delle normali abitudini intestinali anche se non si è celiaci.
Da qualche anno i ricercatori di tutto il mondo hanno notato che un numero sempre maggiore di soggetti presentava manifestazioni intestinali ed extraintestinali verosimilmente scatenate dal glutine, pur non essendo affetti né da celiachia né da allergia al grano. Questi soggetti sono rimasti per anni in un vero e proprio limbo, venendo spesso scambiati per pazienti affetti da sindrome dell’intestino irritabile o con problematiche di tipo psichiatrico. Ad un certo punto però i medici si sono accorti di loro e lo spettro dei disordini alimentari dipendenti dal glutine si è arricchito così di questa nuova entità, rappresentata dalla sensibilità al glutine non celiaca, la quale è andata ad aggiungersi alle già ben conosciute celiachia ed allergia al grano. La sensibilità al glutine non è celiaca è più frequente nel sesso femminile ed interessa nella maggior parte dei casi l’età adulta anche se è possibile il suo riscontro in età pediatrica. I sintomi della intolleranza al glutine non celiaca sono rappresentati dal gonfiore e dal dolore addominale, dalla diarrea o da un intestino alterno con fasi anche di stipsi, e da una serie di sintomi extraintestinali che ricorrono con frequenza impressionante in questi pazienti: mente annebbiata con difficoltà di concentrazione e perdita di memoria, cefalea, eczema e rash cutanei, depressione, astenia, artromialgie, formicolii a livello delle gambe e delle braccia e talvolta anche anemia ed afte del cavo orale. In non pochi casi la sensibilità al glutine non celiaca si associa ad altre intolleranze alimentari fra cui l’intolleranza al lattosio ed al fruttosio. Sia i sintomi intestinali che extraintestinali della sensibilità al glutine non celiaca si manifestano nel giro di poche ore o al massimo qualche giorno dopo l’assunzione di cibi contenenti glutine a differenza di quanto avviene nella celiachia ove i sintomi si presentano anche dopo mesi o anni dall’ingestione del glutine. La risposta sia dei sintomi intestinali che extraintestinali alla sottrazione del glutine è rapida con un miglioramento immediato nel giro di ore o giorni, così come si ha la ricomparsa in tempi brevi della sintomatologia a seguito del challenge con glutine, estremamente importante per confermare la diagnosi. Gli studi finora pubblicati hanno dimostrato che la maggior parte dei pazienti affetti da sensibilità al glutine non celiaca presenta una biopsia intestinale normale (lesione di grado 0, secondo la classificazione di Marsh-Oberhuber), cioè non hanno né atrofia dei villi né aumento dei linfociti intraepiteliali (LIE). In una percentuale minore di soggetti variabile dal 30% al 40% si ritrova sul piano istologico un modesto incremento dei LIE, che raggiungono valori intermedi (compresi in genere fra 25 e 30 LIE) fra il valore ritrovato nella mucosa intestinale normale e quello osservato nei celiaci. Sul piano sierologico nella sensibilità al glutine non celiaca vi è una negatività costante dei marker anticorpali della celiachia, cioè gli anticorpi antitransglutaminasi di classe IgA, anti endomisio di classe IgA ed antigliadina deamidata di classe IgG. In oltre il 50% dei casi si osserva una positività per anticorpi antigliadina di prima generazione (AGA), più frequentemente di classe IgG che IgA. La diagnosi di sensibilità al glutine non celiaca impone anche di escludere l’esistenza di una condizione di allergia al grano, per cui in tutti i soggetti va esclusa la presenza di anticorpi IgE specifici per il glutine e gli altri antigeni del grano disponibili sul piano diagnostico, nonché dei Prick test specifici che consentiranno di escludere una condizione allergica verso glutine e derivati. A differenza della celiachia la sensibilità al glutine non celiaca non mostra una correlazione genetica con gli antigeni di istocompatibilità (HLA), presenti nel braccio corto del cromosoma 6. Infatti, la prevalenza dell’HLA-DQ2 e/o-DQ8, che nella celiachia raggiunge il 99%, nella sensibilità al glutinglutine è stimata essere intorno al 40%, un valore di poco superiore a quello della popolazione generale (30%).